DOMENICA DI PASQUA - La "Affruntata"

La Domenica di Pasqua  viene celebrato un rito molto diffuso in Calabria, in questa giornata, ma che a Vibo Valentia si svolge in una maniera alquanto articolata; la "Affruntata".
Alle ore 15.00 del Sabato Santo i confratelli dell'Arciconfraternita di Maria SS. del Rosario e San Giovanni Battista arrivano in chiesa in un clima di gioia e di ansia, in attesa del giorno successivo.
Si aspetta la la sarta, che dovrà ammantare la Vergine a "lutto", applicando un manto nero a coprire quello azzurro della festa. La vestizione della Madonna implica un lavoro difficile, certosino, che in pochissimi sanno fare.
È fondamentale che la cucitura non sia nè troppo leggera, per non rischiare che il manto cada prima del momento preciso della svelazione, ne troppo forte, per evitare che non vi siano intoppi nella caduta del drappo nero.
Per la tradizione popolare vibonese infatti, una caduta non fluida del manto sarebbe da interpretare come un terribile presagio per l’anno a seguire, tremende catastrofi che si abbatteranno sulla città.
Fonti orali narrano di inclinazioni della statua e intoppi del manto negli anni che precedono eventi tragici, da terribili terremoti fino all’ingresso dell’Italia nella seconda Guerra Mondiale, ma chiaramente non sono provabili.
È invece storia recente quella del 2005, quando la statua della Vergine ebbe una forte oscillazione che portò alla caduta di un portantino, rischiando di far cadere la statua stessa.
Il 3 luglio dell’anno seguente, nel 2006, la città fu attaccata da una terribile alluvione che provocò tre morti e semidistrusse il quartiere marino della città.
Semplici combinazioni, o meno, la vestizione della statua implica un attenzione particolare. Di credenze e leggende il meridione d’Italia ci vive e non sarebbe giusto sminuirne l’importanza.
A tal proposito è giustificabile il boato di giubilo della folla al momento della svelazione, prima della fine della rappresentazione tutta.
Ogni statua ha quattro portatori, che rispondono alle direttive del "Capo-spalla".
La scelta, a differenza di altri paesi dove ancora oggi si pratica l' "incanto", viene fatta secondo criteri di robustezza e di altezza (che deve essere pari a quella di coloro i quali sono già portatori della statua). La componente della familiarità, ovvero di aver avuto il padre o un fratello come ex portatore della medesima statua, è importante ma non vincolante.

Ogni statua, infatti, ha esigenze fisiche diverse: quella della Madonna richiede una statura medio bassa e una forza fisica non indifferente; stessi criteri anche per quella del Cristo Risorto che è sicuramente la statua più pesante; quella di San Giovanni impone una corporatura longilinea e un'ottima preparazione atletica.
Non vi è un limite d'età massimo o minimo per l'idoneità, né tanto meno vi sono limiti di permanenza sotto la statua stessa. La scelta di lasciare il ruolo è soltanto del portatore, salvo decisioni straordinarie della "Cattedra", che dichiara espressamente la propria volontà di lasciare il ruolo affidatogli. In caso di rinuncia di uno dei portatori spetterà ai tre rimanenti, solo ed esclusivamente a loro, trovare un degno sostituto.
La tradizione vuole che per i confratelli sia Pasqua soltanto dopo la fine della "Affruntata".
La mattina della Domenica di Pasqua in chiesa i confratelli vestono gli abiti di rito in un insolito silenzio.
La S. Messa si conclude abbastanza velocemente perché i tempi sono quasi cronometrati; la Madonna infatti, per tradizione, deve "svelare" a mezzogiorno in punto. Sono circa le ore 11.20 quando il Cristo Risorto lascia la chiesa e, senza seguito di gente, si reca alla fine di via Terravecchia inferiore, in un vicoletto di corso Vittorio Emanuele III, teatro della sacra rappresentazione.
Il passo dei confratelli è uguale, veloce e senza soste.

Pochi minuti dopo esce dalla porta della chiesa la statua di S. Giovanni che, a passo molto rapido, va a posizionarsi al Majo, oggi piazza M. Morelli sopra corso Vittorio Emanuele III, anch’esso senza seguito di fedeli.
La scelta di quella che potremmo chiamare la "location" dell’evento, ovvero corso V. Emanuele III, non è stata casuale. Infatti oltre ad essere il corso principale della città, fu sede dell’ormai dismesso Convento delle Clarisse, monache di clausura che potevano in tal modo assistere all’evento.
È arrivato il momento, per la Madonna, di lasciare la chiesa e il "capospalla" da l’ordine di mettere la statua sulle spalle. Il passo è lentissimo e, ad ogni incrocio (tre in tutto) si svolgono le "girate"; la statua viene fatta girare al centro degli incroci alla vana ricerca del figlio.
Sono le ore 11.47, la banda cessa di suonare, San Giovanni parte da piazza Majo marciando per raggiungere il Cristo in via Terravecchia, in quella che viene detta "A prima Juta".
Appena visto il Cristo Risorto, il Santo si lancia in una lunga corsa di ritorno per portare la buona novella alla Vergine. San Giovanni e la Madonna si fanno un reciproco inchino a simboleggiare la discussione fra i due.
La Vergine non ha creduto alle parole del Santo e lo invia ad accertarsi di ciò che ha visto.

La corsa procede per la "seconda Juta", che da lo stesso esito della prima: il Cristo viene nuovamente visto dal Santo ma, al ritorno, nuovamente non viene creduto; rimandato per una nuova, "ultima Juta", San Giovanni risale, questa volta insieme al Cristo, seguiti da una folla interminabile.
Che le statue si stiano avvicinando lo si capisce dai boati della gente ma lo sguardo dei portatori è fisso sulla mano dell' "invocatore"; al suo via la Madonna parte immettedosi velocemente sulla strada principale. A metà corsa lo "svelatore" tira il manto che cade senza intoppi e le urla diventano assordanti.
Giunta d’innanzi al Cristo la Vergine è ancora incredula e per tre volte esita, facendo dei brevi ma veloci passi prima indietro e poi in avanti, per poi cedere alla realtà della resurrezione affiancandosi, dopo essersi girata, al figlio e a S. Giovanni.
È mezzogiorno, il trittico è ricompattato, l' "Affruntata" è finita, è il momento degli auguri e soltanto adesso può iniziare la festa.
La processione riparte, riportando le statue in chiesa; lungo il tragitto si ripete la corsa dei "Quattru Puntuna" e nello stesso punto in cui, giorno delle vare, si era presentato il Cristo Morto alla città, si ripropone, simbolicamente, la vittoria della vita sulla morte.
Le statue arrivano nel quartiere terravecchia, dai balconi si lanciano petali di rosa, confetti. Come ogni anno, tutti i confratelli, sostano per pochi minuti a casa della mamma di uno di essi che, per tradizione antica, ogni anno prepara le polpette di carne, quasi come segno di ringraziamento per il buon esito della manifestazione.
Tutto è concluso, la gioia è ancora grande, il rito si è ripetuto. La tradizione è ancora viva nella comunità vibonese.

- Testo tratto dal web.
- Foto a cura di Pasquale Proto (27 marzo 2016).